L'intelligenza artificiale generativa sta uccidendo la creatività umana o la sta trasformando?
Dopo aver provato a chiedere proprio all'AI la risposta (sì, lo ammetto, l'ho fatto), sono giunto a una conclusione: tutto dipende da come la guardiamo (e fin qui, grazie al kazoo!).
Perciò, se la trattiamo come un nemico da temere, diventa ovviamente una minaccia; ma se la vediamo come uno strumento da padroneggiare, diventa un alleato formidabile: un vero e proprio Sancho Panza armato fino ai denti, motivato e leale, cattivo come un tasso del miele e con un QI di 200!
Però, è altrettanto logico supporre che, se la tratti come il nuovo stagista a cui scarichi tutto il lavoro noioso, finirà presto per prendere il tuo posto. Ironia della sorte.
Ma attenzione, voglio essere chiaro su un punto che troppo spesso viene ignorato: ciò che esce dall'AI non è mai il prodotto finale. Non può esserlo. È come quando ti fidi ciecamente del navigatore e finisci in un campo incolto tra le strade del Montalbano. Fatta questa doverosa precisazione, andiamo al nocciolo della questione.
L'AI non ha ucciso la creatività, ha solo cambiato le regole del gioco
Mi piace pensare all'AI come a quel DJ in discoteca che mixa pezzi che tutti conoscono ma in modo così strano che alla fine ti ritrovi a ballare lo sturdy sulla base di "Highway to Hell". Non inventa nulla, ma accidenti se sa come rimescolare le carte!
L'AI è come quella macchina da cucire ultramoderna che la nonna si rifiuta di usare perché "ai miei tempi si faceva tutto a mano". Unisce pezzi di tessuto secondo le nostre indicazioni, ma siamo noi a decidere se fare un abito da sera o un costume da bagno a forma di pizza. E credetemi, la differenza si nota.
La scrittura non è (mai stata) solo scrivere
Confesso che ho impiegato un po’ di tempo per capirlo davvero. Inizialmente, credevo che il talento risiedesse nella velocità con cui riempivo pagine bianche (o Google Doc), un po' come quando a scuola ti vantavi di aver scritto il tema più lungo: "guarda, prof, otto pagine sul mio cane immaginario!". Che illuso.
La scrittura è sempre stata principalmente una questione di pensiero strategico, cosa che ho capito solo dopo aver scritto tonnellate di testi che nessuno ha mai letto. L'AI ha semplicemente reso questa verità impossibile da ignorare: oggi, chi scrive bene non è chi ha le dita più veloci sulla tastiera, ma chi sa con esattezza cosa vuole ottenere. Rivoluzionario, vero?
Prompt engineering: il nuovo superpotere del content creator
La prima volta che ho provato a usare l'AI per un progetto importante, ho scritto prompt tipo "scrivi un articolo bello su [argomento a piacere]" e mi aspettavo "Guerra e Pace" in versione Mad Men. Risultato? Qualcosa che sembrava scritto dal cugino annoiato di un tizio qualunque in un giorno qualunque.
È stata una lezione fondamentale: scrivere un prompt efficace è diventato il nuovo modo di scrivere. Non è un semplice tecnicismo, è un'arte. O, più prosaicamente, è come spiegare a tua madre come usare lo smartphone: se non sei specifico, finisce per chiamare l'Australia mentre cercava di fare una foto al gatto.
Le skill che ho dovuto sviluppare (a suon di fallimenti epici e lenti sospiri) sono:
- Formulare richieste precise, quasi chirurgiche, come quando ordini un kebab e specifichi "niente maionese", sapendo che altrimenti te la ritroverai ovunque.
- Scomporre un problema complesso in input gestibili, un po' come quando cerchi di spiegare a un bambino di 5 anni perché il cielo è blu senza menzionare lo spettro elettromagnetico.
- Imparare a guidare la macchina con un mix di logica e intuito, tipo quando cerchi di capire cosa intende davvero la tua metà quando dice "fa' come vuoi".
Mi sono reso conto che oggi il vero valore non sta più solo nel creare contenuti, ma nel sapere come chiederli all'AI senza sembrare quel cliente che entra dal parrucchiere con una foto di Brad Pitt e pretende di uscire con lo stesso look, ignorando la “materia prima” di partenza.
Perché il prompt engineering è la nuova scrittura strategica?
Questo paragrafo è facile: chi padroneggia il prompt engineering ottiene l'output desiderato, chi lo sottovaluta produce testi che puzzano di AI come il pesce lasciato tre giorni fuori dal frigo. Rapido, esaustivo, efficace.
Creatività + AI: chi sa usarla vince
Mi capita spesso di leggere (specialmente su LinkedIn) di veterani della scrittura che rifiutano l'AI come se fosse un invito a cena da Hannibal Lecter, mentre giovani talenti la abbracciavano con l'entusiasmo di chi ha scoperto che può continuare ad ascoltare in chill Spotify anche dopo marzo 2025 (se l’hai capita non sei una bella persona). Indovinate chi sta ottenendo i risultati migliori? Spoiler: non sono quelli che ancora stampano le email "per leggerle meglio".
I professionisti che ho visto prosperare sono quelli che usano l'AI per velocizzare la ricerca, esplorare nuovi angoli di narrazione, generare spunti dentro gli schemi per pensarne alti fuori dagli schemi. Un po' come usare Google Maps invece di fermarsi a chiedere indicazioni a quel signore che ti manda nella direzione opposta per il puro gusto di vederti perso.
Qualche settimana fa, Sam Altman di OpenAI ha condiviso su X un testo generato dall'AI su metafiction, intelligenza artificiale e lutto. Era così raffinato che persino lui ne è rimasto colpito. Ma fermiamoci un attimo: quella storia non sarebbe mai esistita senza un prompt ben costruito. È come quando ti vanti della torta che hai fatto seguendo passo passo la ricetta di nonna Pina: tecnicamente l'hai fatta tu, ma il merito è principalmente di nonna Pina.
L'AI può essere davvero creativa?
Mi sono posto questa domanda infinite volte, solitamente alle tre del mattino quando l'insonnia mi fa filosofeggiare sulle grandi questioni della vita, insieme a "perché ho mangiato quella pizza piccante prima di andare a letto?" e "cosa diavolo è un NFT?".
La creatività, in fondo, è la capacità di unire elementi noti in modi nuovi e inaspettati. In questo senso, l'AI può essere considerata creativa? La mia risposta è cambiata nel tempo, più o meno come il mio entusiasmo per i regimi alimentari bilanciati.
Oggi penso che l'AI possa simulare la creatività in modo impressionante, ma la domanda vera è un'altra: se il risultato è indistinguibile da quello umano, ha davvero importanza? È un po' come chiedersi se il vino in tetrapak sia davvero vino. Se ti piace e ti ubriachi lo stesso, chi se ne importa?
Mettiamoci nei panni del lettore per un momento.
A chi interessa veramente se un testo è stato generato da un'AI o da un umano, se quel contenuto è utile, ben scritto e coinvolgente? È come quando scopri che la tua canzone preferita è stata scritta da un compositore che non conosci: ti piace di meno? La verità è che il pubblico vuole contenuti di qualità, punto. Come quando vai al ristorante: ti importa davvero se lo chef ha usato il robot da cucina o ha impastato a mano? O vuoi solo che la pasta sia buona?
E noi, che lavoriamo nel settore creativo, dobbiamo imparare a dirigere l'AI come un direttore d'orchestra con musicisti robot: sfruttarla al massimo, affinare i dettagli, mantenere il controllo. E magari portare un disturbatore elettromagnetico, nel caso decidano di ribellarsi.
C'è poi tutto il discorso etico, ma questa è un'altra storia. Un discorso complesso che apre riflessioni su originalità, trasparenza e autenticità nella comunicazione. Ma qui, parliamo solo del risultato qualitativo finale, nudo e crudo: se è ottimo, è ottimo. E il pubblico, credetemi, guarda solo quello. Come quando compri il pane dal fornaio: non ti interessa sapere se ha impastato mentre litigava al telefono con la suocera.
Il pensiero strategico è la vera skill della scrittura oggi
Individuare chiaramente chi riesce a sfruttare l'AI e chi no è piuttosto semplice a mio avviso. La differenza? Due competenze chiave:
- Visione strategica: capire contesto, target e obiettivi in profondità, non come chi dice di aver letto un libro dopo averne visto la copertina.
- Chiarezza strutturale: tradurre quella visione in input precisi per l'AI, non come quando chiedi a tuo padre di comprare "quella cosa per i capelli" e torna con un rasoio elettrico.
Chi teme l'AI e la subisce, perde terreno ogni giorno. Come quelli che si rifiutavano di usare le email perché "le lettere scritte a mano hanno più carattere". Chi invece impara a sfruttarla, acquisisce un vantaggio competitivo enorme. Perché la scrittura non è più solo mettere parole in fila, ma progettare sistemi che generano valore. Un po' come quando da bambini credevamo che saper leggere significasse solo riconoscere le lettere, e poi scopriamo che si tratta di capire cosa significano quelle lettere messe insieme.
L'AI non rimpiazza chi crea, ma chi esegue senza pensiero
L'AI sta riscrivendo le regole del gioco, questo è innegabile. Un po' come quando nelle partite di calcio con gli amici qualcuno decide improvvisamente che "chi tocca la palla con le mani diventa portiere". Il ruolo di noi creativi resta centrale, anzi, diventa ancora più cruciale. Chi sa pensare strategicamente e sfruttare l'AI come strumento, non solo non viene sostituito, ma diventa ancora più rilevante. Come il DJ che sa scegliere le canzoni giuste per far ballare la gente, non quello che mette la playlist "Top 50 Italia" e va a farsi un drink.
La vera minaccia non è l'AI. La vera minaccia è non sapere come usarla.
E tu, da che parte vuoi stare?
Con quelli che si lamentano che l'AI ruberà il loro lavoro mentre continuano a fare le stesse cose di sempre, o con chi sta imparando a cavalcare l'onda?
Io ho scelto la mia parte. E ho pure il costume da surf.
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