- Cultura e creatività
- 05.05.2025
L'evoluzione del cinema e della sua comunicazione
Iniziamo una conversazione
100% 0% 5% 35% 100%
In Lotrèk abbiamo lavorato a molte richieste di rebranding da parte dei nostri clienti, rispondendo alla loro esigenza di rinnovamento a partire proprio dall’identità del brand. Operazione decisamente delicata!
L’obiettivo dei principali direttori marketing è individuare un nuovo linguaggio in grado di comunicare più efficacemente al target di riferimento, o attirando, ad esempio, le nuove generazioni. La richiesta di rebranding può essere chiara, ma l’operatività richiede il coinvolgimento di competenze trasversali di più team, da quello creativo a quello più strategico e di performance. Per quanto sia a primo impatto un’operazione entusiasmante, mettersi a lavoro su un progetto di rebranding non è proprio come passeggiare sul bagnasciuga durante un happy hour estivo.

Due creativi brindano in riva al mare senza nessun progetto di rebranding all'orizzonte
A confermarlo sono i numerosi graphic designer e copywriter, già consci che le loro proposte subiranno numerose richieste di modifiche, a volte anche senza sufficienti dati a giustificarle. Ciò accade perché fare il rebranding di un’azienda significa entrare in casa di qualcuno e cominciare a proporre nuove soluzioni di arredamento e di disposizione. Sebbene richiesto dai proprietari di casa, è un’operazione pur sempre delicata.
Come già anticipato, noi ai rebranding c’abbiamo lavorato eccome. Uno ce lo siamo fatti direttamente in casa nostra nel 2021 e diversi per i nostri clienti. Un esempio è quello realizzato per il beauty brand Cera Di Cupra.
Abbiamo visto come attivare un’operazione di rebranding significhi per un’azienda voler cominciare un cambiamento importante, sia visivo, che di tov o di contenuto. Ma cosa succede però se a fare un rebranding è un aeroporto la cui reputazione è basata sulle teorie complottiste di rettiliani, neonazisti, illuminati, membri del Ku Klux Klan?
Ecco una storia incredibile di rebranding: il caso dell’aeroporto di Denver.
Illuminati di tutto il mondo unitevi! (a Denver). Se un utente dovesse cercare su Google “aeroporto di Denver” o chiedere a Chat GPT di raccontargli la sua storia, resterebbe davvero sorpreso. Parliamo di uno degli aeroporti più grandi degli Stati Uniti, aperto nel 1995 e che da anni è considerato la roccaforte delle teorie complottiste. Un luogo questo in cui si intrecciano storie di suprematismo bianco, massoneria, illuminati, Ku Klux Klan, senza dimenticare rettiliani e satanisti, che appassionano (e attirano) tanti curiosi nel mondo. Insomma il consueto pubblico complottista de La Zanzara.

Giuseppe Cruciani de La Zanzara entusiasta di ascoltare altre stramboidi teorie del complotto
Meta di pellegrinaggio di pazzi scatenati e ossessionati dal «loro non cielo dikono!11!» l’aeroporto di Denver non ha di certo avuto vita semplice. Ecco perché è intervenuta Stacy Stegman, Senior Vice Presidentessa della Comunicazione, Marketing e Customer Experience, che con un brillante piano di comunicazione ha saputo convertire una pessima brand reputation in un punto di forza.
Innanzitutto bisogna chiarire perché l’aeroporto di Denver sia oggetto di queste teorie complottiste. Al suo interno ci sarebbero simboli, segni e opere d’arte oscuri, portatori insani di un messaggio criptico sul destino crudele, che i poteri forti nascondono all’umanità intera.
Qui i principali motivi della teoria del comblotto legati a Denver:
Qui di seguito una panoramica dell'aeroporto con le opere citate:
Ora immaginate di essere Stegman e dover sviluppare un piano di comunicazione serio, efficace e “prepotente”, davvero in grado di rivoluzionare l’immagine dell’aeroporto, arrivando ad aumentarne, non solo il valore reputazionale, ma persino gli introiti pubblicitari (spoiler: di circa 8 milioni di dollari).
Ironia, astuzia, controrisposta: Stegman ha deciso di rispondere ai complottisti con il loro stesso linguaggio, quindi trasformando le teorie dell’involontario target di riferimento (i complottisti) in brillanti attrazioni per il nuovo e vero pubblico: i viaggiatori.
Il piano di rebranding ha previsto l’installazione di diverse altre opere, per controbilanciare quelle precedenti come il Blue Mustang: in mezzo all’aeroporto, ad esempio, c’è ora una statua parlante di un gargoyle robot (vi ricordate le creature animalesche e spettrali di pietra sulla cattedrale di Notre Dame e il relativo film Disney?), il quale è in grado di esclamare a chiunque gli passi davanti «Benvenuto al quartier generale degli illuminati, ah no scusate, all’aeroporto di Denver.»
Durante la ristrutturazione Stegman ha invece nascosto i lavori sfruttando dei pannelli coprenti con su scritto «Chissà cosa staremo facendo qui dentro». Accanto ha inoltre aggiunto 3 risposte a scelta:
In tutta la cartellonistica è inoltre onnipresente l’hashtag #denfiles, ovvero una sorta di ironica versione degli X-Files dell’aeroporto di Denver. Se si effettua una veloce ricerca digitando il testo su Google e cliccandoci sopra, si aprirà direttamente il sito dell’aeroporto, in cui sono raccolte (e poi smontate) tutte le teorie del complotto legate a Denver.
Il piano di comunicazione di Stegman ha decisamente vinto i combloddisti a colpi di humor e strategia, trasformando l’aeroporto di Denver non solo in una meta cool e divertente, ma anche "turistica".
Ne ha giovato così la città, i cittadini e le vere vittime di questa storia: i dipendenti dell’aeroporto!
L'articolo si ispira al podcast di Stories prodotto da Chora Media e a cura di Cecilia Sala.
Ep. 326. "C'è un aeroporto che prende in giro i complottisti", disponibile su Spotify.
Scopri di più
Idee Idee Idee
L'evoluzione del cinema e della sua comunicazione
L’impatto digital delle brand activation: il caso Milano Fashion Week
#GRWM: la psicologia nascosta dietro ai beauty trend