Rebranding e teorie del complotto: il caso dell’aeroporto di Denver

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Melissa Salerno
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Elisa Del Maestro
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4

Un piano di comunicazione illuminato

I

Rebranding sì, rebranding no, se famo du spaghi.

L’obiettivo dei principali direttori marketing è individuare un nuovo linguaggio in grado di comunicare più efficacemente al target di riferimento, o attirando, ad esempio, le nuove generazioni. La richiesta di rebranding può essere chiara, ma l’operatività richiede il coinvolgimento di competenze trasversali di più team, da quello creativo a quello più strategico e di performance. Per quanto sia a primo impatto un’operazione entusiasmante, mettersi a lavoro su un progetto di rebranding non è proprio come passeggiare sul bagnasciuga durante un happy hour estivo. 

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Due creativi brindano in riva al mare senza nessun progetto di rebranding all'orizzonte

A confermarlo sono i numerosi graphic designer e copywriter, già consci che le loro proposte subiranno numerose richieste di modifiche, a volte anche senza sufficienti dati a giustificarle. Ciò accade perché fare il rebranding di un’azienda significa entrare in casa di qualcuno e cominciare a proporre nuove soluzioni di arredamento e di disposizione. Sebbene richiesto dai proprietari di casa, è un’operazione pur sempre delicata.

Come già anticipato, noi ai rebranding c’abbiamo lavorato eccome. Uno ce lo siamo fatti direttamente in casa nostra nel 2021 e diversi per i nostri clienti. Un esempio è quello realizzato per il beauty brand Cera Di Cupra. 

Brand reputation? Prego?

Abbiamo visto come attivare un’operazione di rebranding significhi per un’azienda voler cominciare un cambiamento importante, sia visivo, che di tov o di contenuto. Ma cosa succede però se a fare un rebranding è un aeroporto la cui reputazione è basata sulle teorie complottiste di rettiliani, neonazisti, illuminati, membri del Ku Klux Klan?

Ecco una storia incredibile di rebranding: il caso dell’aeroporto di Denver. 

Combattere la teoria del complotto a colpi di marketing

Illuminati di tutto il mondo unitevi! (a Denver). Se un utente dovesse cercare su Google “aeroporto di Denver” o chiedere a Chat GPT di raccontargli la sua storia, resterebbe davvero sorpreso. Parliamo di uno degli aeroporti più grandi degli Stati Uniti, aperto nel 1995 e che da anni è considerato la roccaforte delle teorie complottiste. Un luogo questo in cui si intrecciano storie di suprematismo bianco, massoneria, illuminati, Ku Klux Klan, senza dimenticare rettiliani e satanisti, che appassionano (e attirano) tanti curiosi nel mondo. Insomma il consueto pubblico complottista de La Zanzara.

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Giuseppe Cruciani de La Zanzara entusiasta di ascoltare altre stramboidi teorie del complotto

Meta di pellegrinaggio di pazzi scatenati e ossessionati dal «loro non cielo dikono!11!» l’aeroporto di Denver non ha di certo avuto vita semplice. Ecco perché è intervenuta Stacy Stegman, Senior Vice Presidentessa della Comunicazione, Marketing e Customer Experience, che con un brillante piano di comunicazione ha saputo convertire una pessima brand reputation in un punto di forza.

Ma qual era lo stato dell’aeroporto al momento dell’intervento di Stegman?

Innanzitutto bisogna chiarire perché l’aeroporto di Denver sia oggetto di queste teorie complottiste. Al suo interno ci sarebbero simboli, segni e opere d’arte oscuri, portatori insani di un messaggio criptico sul destino crudele, che i poteri forti nascondono all’umanità intera. 

Qui i principali motivi della teoria del comblotto legati a Denver:

  • l’aeroporto sarebbe stato costruito dagli stessi illuminati, per trasformarlo nel loro quartier generale in cui decidere il destino del mondo. La prova di ciò è la pietra angolare situata nella "grande sala", dove secondo il gergo massonico avverrebbero le riunioni di una loggia;

  • i quattro murali, in cui sono raffigurate guerra, disperazione che rappresenterebbero il Nuovo Ordine Mondiale;

  • la statua del Blue Mustang, un cavallo blu con occhi rossi, che emanano un grande bagliore. È stata realizzata dallo scultore Luis Jiménez nel 1993, è alta quasi 10 metri ed è in fibra di vetro. Il Blue Mustang non trasmette proprio gioia e spensieratezza ed è stato successivamente soprannominato Blucifer, per il suo oggettivo aspetto demoniaco. Ovviamente i complottisti collegano l’opera al cavallo descritto in Apocalisse 6,8;

  • i sotterranei dell’aeroporto collegherebbero lo scalo al centro di comando dell’Aeronautica militare degli USA. Nello specifico, si tratterebbe di circa 200 chilometri di passaggi segreti, con destinazione bunker antiatomici.

  • le piste d’atterraggio di Denver, se viste dall’alto, sembrerebbero avere la forma di una svastica;
    il tetto ricorderebbe delle grandi vele bianche, che altro non sono che un rimando ai classici cappucci bianchi del Ku Klu Klan.

Qui di seguito una panoramica dell'aeroporto con le opere citate:

Ora immaginate di essere Stegman e dover sviluppare un piano di comunicazione serio, efficace e “prepotente”, davvero in grado di rivoluzionare l’immagine dell’aeroporto, arrivando ad aumentarne, non solo il valore reputazionale, ma persino gli introiti pubblicitari (spoiler: di circa 8 milioni di dollari).

Stegman’s signature: obiettivo rebranding anti-complotto

Ironia, astuzia, controrisposta: Stegman ha deciso di rispondere ai complottisti con il loro stesso linguaggio, quindi trasformando le teorie dell’involontario target di riferimento (i complottisti) in brillanti attrazioni per il nuovo e vero pubblico: i viaggiatori. 

Il piano di rebranding ha previsto l’installazione di diverse altre opere, per controbilanciare quelle precedenti come il Blue Mustang: in mezzo all’aeroporto, ad esempio, c’è ora una statua parlante di un gargoyle robot (vi ricordate le creature animalesche e spettrali di pietra sulla cattedrale di Notre Dame e il relativo film Disney?), il quale è in grado di esclamare a chiunque gli passi davanti «Benvenuto al quartier generale degli illuminati, ah no scusate, all’aeroporto di Denver.»

Durante la ristrutturazione Stegman ha invece nascosto i lavori sfruttando dei pannelli coprenti con su scritto «Chissà cosa staremo facendo qui dentro». Accanto ha inoltre aggiunto 3 risposte a scelta:

  1. stiamo aggiungendo nuovi bar e ristoranti;
  2. stiamo costruendo una sala riunione per gli illuminati;
  3. stiamo ristrutturando la tana dei rettiliani.

In tutta la cartellonistica è inoltre onnipresente l’hashtag #denfiles, ovvero una sorta di ironica versione degli X-Files dell’aeroporto di Denver. Se si effettua una veloce ricerca digitando il testo su Google e cliccandoci sopra, si aprirà direttamente il sito dell’aeroporto, in cui sono raccolte (e poi smontate) tutte le teorie del complotto legate a Denver.

Il piano di comunicazione di Stegman ha decisamente vinto i combloddisti a colpi di humor e strategia, trasformando l’aeroporto di Denver non solo in una meta cool e divertente, ma anche "turistica".
Ne ha giovato così la città, i cittadini e le vere vittime di questa storia: i dipendenti dell’aeroporto!

Fonti

L'articolo si ispira al podcast di Stories prodotto da Chora Media e a cura di Cecilia Sala. 
Ep. 326. "C'è un aeroporto che prende in giro i complottisti", disponibile su Spotify.

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Melissa Salerno

Brand Marketing Specialist